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Marco Ramassotto

Marco Ramassotto

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Cos’è per te l’ottimismo? E cosa vuol dire per te essere ottimisti?

L’ottimismo secondo me non va confuso con l’essere sempre sempre positivi, sempre felici e così via. L’ottimismo è uno stato mentale che ti permette anche nei momenti più bui, più complicati, più duri, di comprendere che quei momenti sono funzionali ad un’evoluzione, sono funzionali a portarti in un altro “luogo”, cioè ad un’altra soluzione. Quindi l’ottimismo si traduce appunto nel dare una connotazione positiva anche agli eventi negativi della vita. C’è una bellissima frase, mi pare di Coelho, che dice che non tutte le tempeste vengono per rovinarti la vita, ma spesso arrivano per pulire il cielo nel tuo cammino. Ecco per me l’ottimismo si traduce in quella cosa lì, è un modo di essere più che un’emozione.

Cosa vuol dire per te essere ottimisti? É quindi possedere un atteggiamento di un certo tipo, avere un certo modo di essere?

Sì esatto, e non è da confondere con l’essere sempre felici, sempre presi bene, sempre con il sorriso, perché non sarebbe nemmeno onesto, sarebbe finto. Gli accadimenti che ci succedono nella vita sono positivi e negativi, ci sono quelli che dipendono da noi e quelli che invece non dipendono da noi, quindi non sarebbe neanche sano, secondo me, essere sempre al top, probabilmente anzi l’essere sempre così nasconderebbe comunque qualche problema.

Credi che l’ottimismo possa davvero essere contagioso?

Io credo di sì: ognuno di noi può ispirare e influenzare le persone che incontra quotidianamente.

Ad esempio qualche giorno fa leggevo il post di un mio ex allievo e una mia ex “allieva di pane” che hanno aperto un piccolo panificio domestico che sta andando molto bene e che mi ringraziavano dicendo: “Da quando ti abbiamo incontrato abbiamo un po’ svoltato, ci hai cambiato il punto di vista” quindi sì, può essere assolutamente contagioso.

Ciascuno possiede la facoltà di “girare delle chiavi” dentro noi stessi ma anche all’interno dell’anima di altre persone attraverso ciò che facciamo e attraverso ciò che ci piace… nel mio recente passato si trattava appunto di insegnare alle persone a fare il pane. Ovviamente le cose si fanno sempre in due: quindi tu provi a girare la chiave, ma poi l’altro deve aprire la porta. Ci sono persone che, un po’ per modo di essere, un po’ per altri motivi, oppongono ‘resistenza’: sono restii, gli dà quasi fastidio avere di fronte una persona positiva, perché improvvisamente questa persona arriva e gli scompiglia la vita. Invece stare con persone che hanno un certo atteggiamento positivo nei confronti della vita aiuta tantissimo: scegliere le persone di cui circondarsi, con cui passare il proprio tempo, è una cosa fondamentale, anche sul lavoro o in ufficio, dove le persone spesso si lamentano per niente e non hanno un atteggiamento positivo. È deprimente: dopo un po’ anche la persona più ottimista viene fagocitata e “tirata giù”.

Quanto è importante, per te, che il lavoro sia affrontato con entusiasmo? L’entusiasmo ti guida nelle tue scelte lavorative? Se si quanto?

Sul lavoro essere ottimisti non solo è importante: è fondamentale. Al lavoro dedichiamo un sacco di tempo della nostra vita, e se non è un lavoro che ci piace, se non è svolto in un ambiente stimolante, se, infine, non ci mettiamo noi un po’ ottimismo, diventerebbe un’attività opprimente. Per me l’entusiasmo è carburante essenziale, ho attraversato un sacco di cambiamenti nella mia vita, anche non semplici da affrontare, e sono giunto ad una conclusione (anche grazie al percorso in sé): a un certo punto mi sono detto devo fare qualcosa che mi piace, qualcosa per cui sono preso bene al mattino e ho la motivazione che mi fa svegliare e andare volentieri a fare quello che faccio. Ma attenzione: tutti abbiamo la responsabilità dell’ottimismo. È necessario che ci siano una serie di “ingredienti” messi insieme, per cui l’ottimismo venga in qualche modo moltiplicato, non solo innestato. Perché davvero, tu puoi esser la persona più ottimista del mondo ma se ti trovi in un ambiente in cui ci sono tanti pessimisti o tante persone che non vedono di buon occhio il tuo atteggiamento, del tuo ottimismo te ne fai ben poco. Puoi invece scegliere di utilizzarlo al meglio dicendoti: ok, andrà meglio da un’altra parte, faccio le valigie e me ne vado e trovi il coraggio per farlo. Devi fare in modo che fatti e persone non ti ‘spengano’: ne hai la responsabilità. Devi monitorarti.

Bisogna abbandonare proprio quelle situazioni in cui non c’è “trippa per gatti”, o meglio ‘trippa per gatti energetica’.

La collaborazione tra persone e tra aziende può/deve diventare energia secondo te?

Sì, anche se è, una cosa difficile da realizzare perché non dobbiamo mai dimenticarci che qualsiasi forma di “comunità” che sia un’azienda, che sia un’associazione, che sia un partito politico, ecc. è fatto sempre e comunque da esseri umani quindi dipende da come sono e dall’atteggiamento di queste persone. Cito a questo proposito una frase di Cucinelli, che dice che il valore dell’azienda (anche in termini economici) è dato dal valore delle persone che ci lavorano: secondo me è impossibile fondare una grande azienda con persone che non siano ottimiste in senso lato, quindi propositive, con spirito critico, problem solving: non puoi farlo. Passato l’entusiasmo iniziale, il meccanismo ‘si incricca’ e smette di funzionare.

Cos’è per te il profitto? Quale relazione ritieni ci debba essere tra profitto e soddisfazione personale?

Il profitto è creare valore economico generando al contempo valore sociale. Significa fare qualcosa che ti dà benessere economico ed al tempo stesso crei dell’output positivo per il tessuto sociale in cui operiamo. Per output positivo intendo anche solo il sorriso di un bambino quando lecca un gelato. In sostanza per me il profitto è una conseguenza (anche abbastanza sicura, se fai le cose con un po’ di cervello), di un’azione in grado di migliorare una situazione preesistente.

L’unica costante della vita è il cambiamento. Quanto è importante, secondo te, la flessibilità di pensiero nell’affrontare i cambiamenti della vita?

È determinante, perché se non siamo siamo flessibili, semplicemente, sprechiamo tanto tempo a stare male. C’è una metafora bellissima, la metafora dell’aragosta, che dice che l’aragosta, che ha l’esoscheletro, cresce cresce fino a quando, ad un certo punto, ha bisogno di cambiare l’esoscheletro diventato troppo piccolo e per questo si rinchiude in una caverna in attesa che il suo nuovo esoscheletro sia pronto e in questo tempo non esce dalla caverna: questo processo genera sofferenza perché il cambiamento genera sempre un po’ di sofferenza, di destabilizzazione, di vulnerabilità. Pensiamo alla nascita di un bambino, il parto è un momento di rottura di sofferenza per lui e per la madre: il bambino deve attraversare un luogo molto stretto per venire al mondo e questo genera dolore e poi deve passare da un luogo caldo confortevole e sicuro al mondo.

Il cambiamento porta sempre con sé, anche nei più ottimisti, una buona dose di paura che spesso non vogliamo affrontare.

Invece bisogna avere il coraggio di uscire dalla ‘comfort zone’, e spingerci verso “il desiderio” a tutto tondo.

Chi è

Marco Ramassotto

Imprenditore seriale, co-fondatore di ViVa – La Nostra Farina e fondatore di SoFàre


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